Frames Blog Federico Serrani

Alberto di Lenardo – viva la fotografia ritrovata

1 Aprile 2022

parole di ale_theia

 

La cornice è il piccolo parcheggio su cui affaccia anche in Nuovo Cinema Sacher, a due passi da Porta Portese, a quattro dal quartiere Testaccio, al di là del fiume come il Giardino degli aranci da cui si ammira tutta Roma, e dalla piazza principale di Trastevere, sui gradini della cui fontana hanno ricominciato da qualche settimana a sedersi anche i turisti che arrivano da tutto il mondo. Nelle vie meno trafficate una domenica mattina può anche capitare di incrociare anche il grande Toni Servillo. Negli spazi di WeGil, hub culturale della Regione Lazio, fino all’8 maggio, sarà possibile ammirare le fotografie scattate da Alberto di Lenardo (1930-2018) a partire dagli anni Cinquanta, che raccontano non solo l’Italia, ma anche molte destinazioni di viaggi on the road, con i classici colori delle Kodachrome di una volta. Stati Uniti, Grecia, Croazia, Inghilterra, Francia, Spagna, Egitto, Marocco, Brasile, Repubblica Ceca, Emirati Arabi, Svizzera, Austria, Ungheria, scorci che si susseguono come un archivio di album delle vacanze – cosa che in effetti è.

 

La mostra “Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano” è stata curata da Carlotta di Lenardo, nipote del fotografo, che ha fatto scoprire il suo talento dopo la sua morte: l’esordio è arrivato con il libro “An Attic Full of Trains”, pubblicato dalla casa editrice londinese MACK, per cui Carlotta lavora, in cui è raccolta una selezione dello sterminato archivio di immagini ereditato dal nonno: oltre 10mila, scattate durante tutta la vita. “Era il suo modo di comunicare i suoi sentimenti e gli permetteva di rivelare emozioni che la sua generazione faticava ad esprimere a parole,” racconta la nipote. Nelle 154 immagini esposte queste emozioni traspaiono. Forse perché riguardano la vita personale del fotografo, il suo modo di vivere alcuni momenti poetici. Quale mezzo migliore per restituire quella poesia alla nipote e a tutti coloro che ora, fuori dal circolo familiare, possono vedere questo lavoro? 

 

In questi ultimi anni molti fotografi, non di professione, ma per passione – o per vizio, per caso, per opportunità – sono stati riscoperti. Si va da Viviane Maier, il caso più eclatante, pop, internazionale e probabilmente più redditizio di tutti, a progetti come quello di “Noi”, di Nicoletta Grillo, che ha lavorato a quattro mani, in differita, con la madre scomparsa per pubblicare le immagini scattate alla fine degli anni Settanta, ancora racchiuse dentro pellicole mai sviluppate e che avrebbero rischiato di rimanere per sempre in una scatola. Se poi a occuparsene è qualcuno di famiglia, siamo sicuri che in vero spirito di quelle immagini non possa essere tradito, o, almeno, di avere una preziosa chiave di lettura in più.

“Le sue immagini”, spiega Carlotta, “riflettono accuratamente la sua serenità interiore, uno stato d’animo che ha sempre cercato di trasmetterci, e allo stesso tempo manifestano la sua costante ricerca di uno scatto rubato e mai banale. Preferiva infatti che i suoi soggetti fossero quasi sempre ignari della macchina fotografica, così da essere spontanei e reali, un puro riflesso del momento. Queste immagini e il modo in cui lui si emozionava mentre le condivideva con me, disegnandole nella sua incredibile e dettagliata memoria, mi hanno fatto innamorare della fotografia e hanno condizionato la mia intera vita lavorativa in questo campo. La fotografia era qualcosa di nostro, qualcosa che lui ed io condividevamo e custodivamo gelosamente”.

 

Non è solo la nostalgia di un parente che parla in questi casi, ma la possibilità non sempre presente di uno sguardo il più possibile condiviso, che traspare per esempio negli allestimenti: la mostra è infatti divisa in tre sezioni, di cui la prima è una narrazione intima tra lo sguardo del fotografo e quello della nipote, la seconda è più rivolta alla biografia di Alberto e la terza dedicata alle sue modalità di scatto ricorrenti. Una curatela accurata, romantica, che si snoda per creare piacevoli accostamenti cromatici, diari di viaggio romantici o seriali, dittici o trittici in cui lo humour, che già traspare da alcune singole immagini, diventa ancora più evidente e ammiccante. Il minimalismo di un allestimento su bianco e su nero, luci che non sempre riescono a valorizzare al massimo le immagini, che giocano spesso tra contrasti tra zone d’ombra e scorci illuminati dal sole, rivelati da una galleria, da una finestra o dal finestrino di una macchina in corsa. L’uso di queste cornici è in grado di cristallizzare quei momenti, tornando alla poesia di cui parlavamo sopra. 

 

Viva gli archivi, chissà quanti fotografi, ancora, non conosciamo. 

 

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