Frames Blog Federico Serrani

La fotografia è una disciplina con cui tornare bambini, Francesco Faraci e la sua Sicilia

19 Aprile 2022

Dice che parlare di fotografia non gli piace, che preferisce parlare della vita, ma quando la prima capita nella seconda, senza chiedere il permesso – “io in realtà volevo scrivere”, spiega lui, che ha studiato sociologia e antropologia ed è alle prese con un romanzo – diventano una cosa inscindibile, e non si sa dove inizia o finisce. Mentre ci parliamo sotto il sole di Milano e di Palermo lui rolla e accende sigarette una dietro l’altra, con accanto il suo cane Totò che abbaia per ricordarci la sua presenza. 

 

Francesco Faraci è nato nel 1983 a Palermo, e questo ha irrimediabilmente – ma in maniera non scontata – segnato la sua fotografia, scoperta a trent’anni grazie al regalo di un amico, che gli ha messo in mano la prima macchina. D’altra parte preferisce non definirsi siciliano o italiano o europeo, ma piuttosto mediterraneo, anche se “fare fotografia in una regione come questa significa molto, in primis non dimenticarsi di coloro che hanno perso la vita per provare a cambiare una terra “bella ma disgraziata”, e il ricordo va a quei personaggi come Falcone, Borsellino, Impastato, che rimarranno per sempre nella storia italiana e della mafia. 

A raccontare molto bene quegli anni – che tra poco nel caso delle strage di Capaci e di via D’Amelio saranno celebrati per i trenta già trascorsi – c’è stata sicuramente Letizia Battaglia, che spesso viene avvicinata per trovare un paragone al lavoro di Faraci – sarà il bianco e nero, sarà la vocazione profondamente sociale e antropologica del loro lavoro, sarà la Sicilia – e che pochi giorni fa è scomparsa, lasciando sì un vuoto, ma anche un pezzo di storia d’Italia racchiusa nei suoi scatti. “Non l’ho mai detto in precedenza, ma conoscerla ha segnato il mio lavoro e la considero una maestra, e ancor prima un eroe,” racconta Faraci.

“Lei non è solo una fotografa: ha usato la fotografia per raccontare se stessa nella città, e ha fatto foto che nessun altro potrà più rifare, in un periodo storico in cui era inoltre l’unica donna e si è dovuta fare strada – anche con la forza – imponendosi con il suo carisma incredibile. La sua non era solo cronaca,” spiega Faraci. Nel suo primo progetto pubblicato, “Malacarne”, Faraci racconta i bambini e i ragazzi di Palermo, i suoi vicini di casa, che continuano in maniera molto personale – e con la stessa voglia di raccontarsi e di entrare nelle immagini – la narrazione, in chiave contemporanea – e insieme senza tempo – di una Sicilia che per rendere in quel modo bisogna conoscerla, farne parte. 

 

Quello di Francesco è un lavoro di immersione totale: “lo scatto che sembra veloce, rubato, per certi versi lo è, ma è frutto dell’essere entrato a far parte di un determinato contesto e potersi muovere liberamente perché ti conoscono e sanno chi sei.” Solo così forse si può fare fotografia non con la testa, ma con lo stomaco. “La fotografia rubata a priori non mi piace, ho bisogno di entrare e capire, e c’è bisogno di tempo. Non potrei fare le cose che faccio se rimanessi in superficie”.  

 

Il secondo progetto di Faraci dedicato alla sua terra è “Atlante umano siciliano”, in cui emerge una Sicilia gattopardiana in cui  tutto cambia perché nulla cambi, forse è questo a renderla ancora senza tempo, insieme ad alcune difficoltà anche se Palermo è diventata in molte sue zone un parco per turisti e la Vucciria non è più quella in cui Francesco camminava per mano da bambino insieme al nonno. Non un ricordo casuale, come un altro, che arriva dall’infanzia e che lo ha impressionato con gli odori e i suoi colori, che spesso ritrova facendo fotografia.  

 

Il prossimo 5 maggio uscirà un suo saggio fotografico per Mimesis Edizioni in cui racconta gli ultimi dieci anni, “quel poco che ho capito della fotografia, ma soprattutto quello che l’ha influenzata e la influenza in qualche modo”. Il suo sguardo con la fotografia si è allargato. “Ho sempre avuto la curiosità e la voglia di capire gli altri esseri umani, entrare nelle loro vite. Questo rettangolo in cui puoi inserirti ha allargato le mie conoscenze, ma proprio me stesso. Attraverso la fotografia ho trovato una strada che mi permettesse di essere costante, avere una certa disciplina – che prima non avevo mai avuto – mi ha dato una direzione.” 

Per conoscere meglio Francesco, oltre a guardare le sue fotografie, potete ascoltare l’intervista completa qui: 

Left Menu Icon
Right Menu Icon