
Tina Modotti, prima donna, poi fotografa
1 Ottobre 2021
Le hanno appena intitolato una piazza a Milano, a Rogoredo, pochi giorni dopo l’inaugurazione del primo monumento pubblico dedicato a una donna, Cristina di Belgiojoso. Tina Modotti, “al secolo Assunta Saltarini-Modotti (1896-1942)”, è nata a Udine, cresciuta in Italia e per un piccolo periodo di tempo in Austria, ma è diventata la donna emancipata e impegnata per i diritti che oggi conosciamo soprattutto oltreoceano, grazie all’incontro con personaggi e realtà che hanno plasmato e risvegliato in lei un’attenzione a temi sociali e politici divenuti per lei di fondamentale importanza.
[…] Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose qualcosa viene detto e passa,
qualcosa ritorna alla fiamma del tuo popolo adorato,
qualcosa si risveglia e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi dicono il tuo nome,
noi che da ogni luogo, dall’acqua e dalla terra,
col tuo nome e altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché il fuoco non muore.
Sono le ultime due strofe della poesia che Pablo Neruda scrive il 5 gennaio 1942 per piangere la scomparsa prematura della fotografa, attivista, in giovane età anche attrice e modella, riconoscendo l’impegno e la passione messi in vita a difesa dei più deboli e dei diritti del popolo messicano. A darle l’imprinting, forse, durante la loro permanenza austriaca, fu proprio il padre, che la portò con sé ai cortei del primo maggio. A 17 anni Tina lo raggiunse a San Francisco, dove migrò anche il resto della famiglia e dove in breve tempo lei divenne celebre per le sue doti artistiche.
La sua relazione con il fotografo americano Edward Weston, che rimase una solida amicizia anche quando le loro strade si divisero, contribuì ad alimentare le inclinazioni fotografiche di Tina, che da lui apprese la tecnica. I due decisero di vivere e lavorare insieme a Città del Messico, aprendo nel 1923 uno studio di ritratti. L’anno successivo Tina cominciò le sue sperimentazioni con la fotografia di architettura, inizialmente influenzata dal lavoro in studio di Edward, inserendo sempre più spesso l’elemento umano che era per lei il vero interesse.
In Messico Tina trovò la fama, l’amore, l’instancabile passione politica e l’odio di chi voleva screditarla e mettere a tacere per il suo impegno. Nel 1927, un anno dopo il ritorno in California di Edward Weston, si iscrisse al Partito Comunista del Messico. Capì presto che le sue fotografie non sarebberò però riuscite, come sperava, a veicolare l’evoluzione sociale del Paese, e dedicò quindi il suo lavoro al popolo messicano che l’aveva accolta, domandandosi sempre come conciliare esterica e accessibilità dei contenuti, oltre che finalità di documento e di racconto, come anche accadeva con le opere degli artisti dell’epoca, come Diego Rivera, che conquistavano l’Europa grazie alle sue immagini.
Modotti scriveva di non voler essere definita una “artista”, bensì “una fotografa e niente di più”. Le sue immagini, simboliche e potenti per forma e contenuto, che ritraevano lavoratori e militanti all’opera, ma in pose perfette, riuscirono non solo nell’intendo di parlare ai messicani, ma di raccontare quello che il Messico stava vivendo a tutto il mondo, anche se furono spesso strumentalizzate. Il suo personaggio e quello dei militanti politici i che le stavano intorno divenne presto scomodo: il suo compagno più amato Juan Antonio Mella, rivoluzionario cubano esule in Messico, fu fatto assassinare per ordine dal dittatore cubano Machado, mentre lei venne accusata di essere coinvolta nell’omicidio che la stampa di destra spacciò per faida interna al movimento comunista e fu per un periodo incarcerata in Messico.
Trascorse gli ultimi anni in Europa, in esilio, prendendo parte alla battaglia spagnola antifascista senza il filtro fotografico, come miliziana, infermiera, guida. Tina Modotti voleva essere definita “una fotografa e niente di più”, ma fu soprattutto una donna appassionata sempre in prima linea per le idee in cui credeva e per migliorare il mondo in cui viveva.